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sabato 26 maggio 2012

Terra Futura. Legambiente da Rio+20 a Firenze 10+10

Da Rio+20 a Firenze 10+10

Gubbiotti (Legambiente):

"La Green economy che vogliamo rispetta l'ambiente e la sostenibilità

ma anche i diritti di tutte le popolazioni e la dignità dei lavoratori"


Un'economia verde inclusiva e fondata sull'equità sociale, sul lavoro dignitoso per tutti, sul rispetto dei diritti. Questo il tema promosso da Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente, al convegno Da Rio +20 a Firenze 10+10, che si è tenuto oggi a Firenze nell'ambito di Terra Futura, la mostra – convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità.


Rio+20 sarà l'occasione, a vent'anni dal primo Earth summit delle nazioni unite su ambiente e sviluppo, per affrontare il tema della crisi economica e il fenomeno della liberalizzazione dei mercati che ha caratterizzato decisamente questi decenni.


"Le prime bozze di documento in vista del vertice di giugno si focalizzano giustamente sull'importanza della Green economy e delle sue potenzialità di sviluppo – ha dichiarato Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale segreteria Legambiente -. Ma lasciano troppo poco spazio alla necessità di rivedere alla radice il sistema economico corrente: concetti come "giustizia climatica e sociale", "sovranità alimentare", "mercati locali", "economia ecologica" sono ancora i grandi assenti del dibattito internazionale, perché presuppongono una rilettura del profilo di una società futura che non potrà tenere sganciate la giustizia sociale da quella ambientale. Parlando di Green economy bisognerebbe parlare anche di equità sociale e prendere in considerazione, per esempio, il problema enorme e drammatico di quei miliardi di persone ai limiti della sopravvivenza, che rischiano di aumentare a causa degli effetti del cambiamento climatico".


Un opportuno sviluppo della Green economy non può prescindere da alcuni dati di fatto. Il primo è la trasparenza delle filiere. Produrre moduli fotovoltaici o componenti per l'eolico in un quadro di sviluppo sostenibile non significa necessariamente che la sostenibilità sia totale. Le filiere produttive, ancora troppo spesso opache ed intangibili, non consentono di conoscere le condizioni di lavoro e di sfruttamento dei lavoratori così come gli effetti ambientali dell'utilizzo di sostanze chimiche nei processi produttivi.

Il secondo dato di fatto è il mercato delle materie prime. Molte tecnologie verdi si rifanno all'utilizzo di alcune componenti, come le "terre rare", fortemente inquinanti al momento della loro estrazione e di limitata disponibilità. Le politiche di accaparramento di queste materie prime fondamentali per la Green economy (basti pensare ai motori ibridi o ad altre come l'Indio ed il Gallio per le nuove generazioni di moduli fotovoltaici) sta portando a vere e proprie tensioni internazionali così come a politiche neocoloniali da parte dei vecchi e dei nuovi attori della globalizzazione.

Il terzo elemento rispetto al quale siamo chiamati a riflettere sono le politiche di liberalizzazione dei mercati. La spinta da parte della Wto perché s'accelerino gli scambi all'interno del mercato delle tecnologie verdi, senza intaccare la prevalenza della difesa della proprietà intellettuale e della sua dimensione commerciale, rischia di trasformare la Green economy in un nuovo cavallo di battaglia per le multinazionali detentrici del brevetto, capaci di investire ovunque convenga mantenendo però nella casa madre know-how e competenze.


A oltre 20 anni dal primo Summit di Rio, che ha avuto la capacità di focalizzare le interazioni tra ambiente e sviluppo, ponendo le basi per la nascita della Convenzione quadro Onu sul clima, il concetto di sviluppo sostenibile è diventato un mantra buono per tutte le stagioni. Il concetto di sostenibilità per molti Paesi emergenti, è poco correlato agli aspetti ambientali e molto a quelli sociali, incarnando nel termine anche il concetto di "equità". In questo senso giustizia climatica e giustizia sociale vanno di pari passo. Lottare contro il cambiamento climatico impone politiche coerenti e fortemente basate sull'equità sociale.

Il debito ecologico e sociale, che i Paesi industrializzati devono pagare alle zone più povere e rapinate del pianeta, deve essere risarcito mediante politiche di sostegno alla mitigazione e all'adattamento, attraverso lo stanziamento reale e concreto di risorse economiche. L'ottica dovrà essere quella di sostenere un'economia locale orientata al benessere della popolazione, alla sovranità alimentare, alla tutela delle risorse naturali.

In caso contrario, si rischiano gli impatti pesantissimi del cambiamento climatico su intere comunità umane, con l'aumento del numero dei profughi ambientali a livelli inimmaginabili; uno scenario che dovrebbe imporre ripensamenti anche alle politiche di gestione dei flussi migratori, che assumeranno sempre più il carattere dell'emergenza umanitaria.

Occuparsi di cambiamento climatico, quindi, non può più prescindere da un'azione diretta e concertata anche sui temi dell'agenda commerciale internazionale, per questo auspichiamo che la prossima Conferenza possa segnare uno spartiacque profondo nel cambiamento dell'attuale modello di sviluppo globalizzato al fine di porre al suo centro i diritti fondamentali dell'umanità nel rispetto del Pianeta e dell'ecosistema, bene comune universale.

Bisogna cambiare l'attuale paradigma economico insostenibile assumendo l'affermazione dei diritti umani e della natura al centro di una nuova e diversa stagione di progresso. Questa nuova visione deve parlare al cuore delle persone e convincerle che c'è davvero la speranza di raggiungere l'equità globale, che il multilateralismo ha un ruolo da svolgere, che la cooperazione e la solidarietà tra i paesi e i popoli è necessaria e fattibile. Sono quindi indispensabili impegni seri e tangibili a livello globale e locale a garanzia dell'equità della transizione, prevedendo in particolare un piano di protezione sociale per tutte le persone e rafforzando gli sforzi nei paesi più poveri.


Le azioni da mettere in campo e monitorare per Legambiente prevedono:

- un'equa transizione che mobiliti risorse pubbliche e promuova gli investimenti privati nella fase di implementazione.

- un solido quadro di riferimento a garanzia della partecipazione della società civile, dell'accesso alle informazioni e ai meccanismi di giustizia.

-- un sistema di welfare state rapportato a bisogni di donne e uomini e di accompagnamento alla riconversione produttiva in green economy.

- la garanzia che le persone più vulnerabili abbiano adeguato accesso alle risorse naturali e che siano tutelati i loro diritti sull'uso di queste risorse, dal momento che queste risorse rappresentano spesso l'unica fonte di sostentamento per le popolazioni che vivono in aree rurali.

- l'uso efficiente delle risorse naturali, assicurando un'equa ripartizione degli oneri tra Paesi a livello globale, applicando anche al tema del consumo delle risorse il concetto di "fair shares".

- la priorità alle fonti rinnovabili, alla internazionalizzare dei costi sociali e ambientali, a cicli di vita virtuosi dei prodotti, ad azzerare progressivamente le emissioni ed i rifiuti;


Green economy in Italia


Occupati in Italia nel settore delle fonti rinnovabili: oltre 100 mila che potrebbero diventare 250 mila al 2020 o addirittura 600 mila considerando il comparto dell'efficienza e della riqualificazione in edilizia(fonte: CNI)


Anche per quanto riguarda il comparto delle imprese, la green economy sembra possedere una marcia in più, tanto che nel 2011 il 38% delle assunzioni programmate in Italia è riconducibile alla sostenibilità ambientale. Si tratta di più di 220.000 assunzioni sul totale di quasi 600.000 previste dalle imprese nel 2011. Di queste circa la metà (97.600 assunzioni) sono legate a professioni green in senso stretto (legate agli ambiti delle energie rinnovabili, gestione delle acque e rifiuti, tutela dell'ambiente, green mobilities, green building ed efficienza energetica). (Fonte: Rapporto GreenItaly 2011 di Symbola e Unioncamere).




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